Prima o poi torna a essere come sempre. Il vuoto, la fame, la mancanza di sapore, i giri di chiave, l’oltre, la fretta automatica. Il sogno diventa il solito. Praticamente lo puoi ordinare al bar. Tutto ciò che abbiamo migliorato con sacrificio, mi dice Alfredo addentando rumorosamente una mela, verrà risucchiato, presto o tardi, dalla normalità. Anche quel che si impara a rovinare, senza più paura, l’importante sottovalutato che è in ognuno di noi. Pausa. È così, ragazzo.
È la prima volta che mi avvicino così tanto ad Alfredo. Fisicamente, intendo. È conosciuto da tutti nel quartiere come una voce saggia e pacifica d’altri tempi. Ha fatto resistenza e ha imparato a perdere, ingiustamente. Non ama scrivere su carta, annota tutto nei pensieri. A volte, quando fa due chiacchiere, improvvisa il copione. Dice l’indispensabile, le fake news non sa nemmeno cosa siano. Arrivano da lontano le sue parole strette e decise, passate da calendari con date saltate e cicatrici che mai vedremo eppure suonano esatte nel presente. Potrebbe essere mio nonno. Se potessi scegliere invecchierei così. Gli ho portato una lettera che il postino ha imbucato per errore nella mia buca delle lettere, ecco il motivo per cui mi hai invitato a entrare.
Gli ho chiesto come sta, come vive l’apprensione per il covid-19, se ha bisogno di qualcosa. Così siamo scivolati sul discorso del sempre che torna e del sogno che diventa solito. Non è preoccupato, il solito è già alle porte, dice, lo si può attendere con pazienza o con impazienza. Questa è l’unica differenza. Accettando la velocità del vento usare il timone nel migliore dei modi. Immagino un mare in tempesta, un albero maestro che resiste e un marinaio che stringere i nodi con forza pur sentendosi debole da morire. Saluto Alfredo con un sorriso più rispettoso che dolce e salgo le scale verso il mio appartamento che non arriva mai perché mi fermo. Attraverso la vetrata delle scale vedo il vuoto, la mancanza di sapore di molti dei miei attimi, l’andare senza una meta, la noia che ammanta il sogno di una piccola vita.
Quel che noto in realtà ha un’unica forma, è il mio viso riflesso. I contorni di una normalità conquistata come se fosse una crescita, i sogni venduti alla fretta. Adoriamo le novità, le facciamo diventare parte del nostro tempo, del nostro modo di comunicare e le integriamo nell’esprimere ciò che siamo. Cambiare ci eccita. È quella spinta che ci permette di allungare la testa verso qualcosa di nuovo e, nel gesto, l’opportunità di sentirci vivi.
Qualunque novità ha una gittata corta, a fine corsa si ritorna più o meno sul punto di partenza: noi. Una cosa bella ma anche una cosa spinosa, capace di sgonfiare le più grandi aspettative. Siamo pieni di aspettative ammosciate. Per caso, ogni volta torniamo a essere, a fare e a voler disfare. Torniamo. Questo cercava di raccontarmi Alfredo, l’inevitabile percorso verso il nostro personalissimo sempre. Come un rientrare nella rotta. Per caso, ogni volta. Cambiare per non cambiarsi, un metro quadro alla volta rivoluzionare sogni che resteranno uguali. Non arredati e sempre, per caso e ogni volta, disabitati.