Una giostra, nella stanza a cielo aperto che è questo quartiere di sogni ancora vivi, una giostra di sorrisi. Una giostra, ed è sempre il mio turno, il tuo o il turno di quell’altro che incroci spesso in metro tornando dal lavoro. Un’arteria verde, il parco. Qualcuno osserva girare le anime, composte e disorganizzate davanti alla felicità, da una finestra non troppo lontana. Qualcuno che spera per un “più di così” e si sente già in ritardo davanti al resto del tutto. Uno coi ricordi essenziali, spediti via come cartoline. “Ciao qui ci si diverte, a presto!”. Torce il collo e si sporge oltre il davanzale metallico, fiera dotazione della palazzina rimasta imperterrita negli anni sessanta, il piegamento dell’uomo è per distinguere i volti che girano forte nel parco senza tener conto della sua soddisfazione. Frasi indipendenti come stati che hanno lottato e vinto occupano il pensiero.
<<Ha un sorriso così solare>>.
<<Togliti quel sorriso dalla faccia>>.
<<Le ha tolto anche il più piccolo sorriso>>.
<<Ride bene chi ride ultimo>>.
Ci si mettono, in aggiunta, pure frasi sparse di Jim Morrison e quelle della scomparsa nonna Adele. Una gran confusione. Tutte a loro modo sagge, sceniche e incontrovertibili. L’apprezzabilissimo sforzo di circoscrivere un’oggettività e per il bene comune di renderla globale -magari immortale- non è sufficiente per renderla parte di lui: l’uomo non è pronto a conoscere e ad accettare ogni verità, né in qualunque momento. Le verità non sono giostre inceppate di sorrisi che possono entrarci dentro a tutta velocità. Il paragone sorriso-verità non regge.
L’aria di febbraio ghiaccia la punta del suo naso e la punta dei capelli neri argento alla finestra, la curiosità di Alfredo sopravvive al meteo contro. Ci deve essere una via di mezzo, pensa, un compromesso tra sorriso e verità e, quello, lui lo troverà. Deve. Per reggersi meglio a quello che gli rimane addosso della felicità che gli altri esibiscono esattamente come le sentenze, per convincersi di qualcosa e per farsi entusiasmare, prendere per le gambe febbraio e di forza capovolgerlo. “Alla tua età ormai…” un bel niente. Chi ha perso troppo le perdite non le accetta più. Se non lo sai non hai perso abbastanza, dice all’aria. E lui ha perso persone troppo buone contando solo sulla propria felicità. Che andava bene se c’era.
A cielo aperto un sorriso disinvolto come quei sorrisi che non hanno nulla da perdere, una ragazza con un berretto di lana prende in giro qualcuno che veste un giubbotto di pelle scura, un volto appare sfocato tra i movimenti delle polveri sottili. C’è uno sguardo impercettibile ma definitivo. C’è una cancellata arrugginita e un vecchio marciapiede, una signora fiera si protegge dalla città con un sorriso di quelli che hanno la stessa gravità di un’emorragia, una mamma strattona il bambino che vorrebbe trattenersi sull’altalena, è in ritardo nella sua tabella di marcia. Vieni da mamma. Ma certo. Con un piccolo sorriso sovrastimato da tutti i non intervenuti.
Anche da lontano i sorrisi li vede, li ricorda prima di qualunque verità, Alfredo. Quelli fermi indietro nel tempo, addosso a sé stesso, che ora si invidia. Sorrisi di tenerezza verso un gatto chiamato Aristotele per gioco, e poi di ammirazione verso l’alunno migliore della Quarta B che gli lasciava copiare i compiti di matematica, i sorrisi imbarazzati a chi gli faceva notare la prima peluria sotto il naso, quelli di speranza verso degli occhi nocciola che speranze non potevano dare, il sorriso fiero davanti alla prima busta paga tra le mani, quello urlato al primo giro della sua Ritmo. Stanno in fila, collezionati, grandi e piccoli, speciali e stupidi, con etichetta o sbeccati. Non si può dire che bastino. I sorrisi. La vita ha un altro passo, è molto più rapida della nostra capacità di goderci al collezione.
Forse per questo Alfredo chiude la finestra, pensando che sì, fanno i male i sorrisi. Il paragone sorriso-verità non regge. Se li guardi a lungo termine diventano spietati perché pochi, come le direzioni, come le possibilità. Diminuiscono sempre. Nel ricordo il sorriso da bere d’un fiato, così forte da procurarti una sbronza sulla realtà, da farti dimenticare tutto il tempo durante quel sorriso. Torna indietro o annulla tutto, adesso è troppo tardi. Alfredo quella finestra l’ha ormai aperta. L’ha infilato lui il gettone sulla giostra dei sorrisi di qualcuno. Fortunatamente. Perché alla fine il cessare di tutto quel girare gli permette di capire: il suo compromesso tra sorriso e verità è lui. Avrebbe dovuto essere lui, e ancora potrebbe.
Si sta come
con i doppi calzini
e tre maglioni
d’inverno
ma sul cuore
e una stagione non è.
Mi fanno male i sorrisi, dice Alfredo, al quadro rosso che ritrae la luna a metà. Sembra l’ingrandimento di un dettaglio e lo è. C’è uno sguardo impercettibile ma definitivo. Non riesce a non sorridere. Quel sorriso è una fitta, non sono neanche frasi interrotte, solo un pensiero accennato. La teoria di un’ipotesi.