Una valanga di sveglie che trillano al momento giusto, un circolo di vita allungato dall’aperitivo, e poi la tribù Facebook composta per metà da modelle e per l’altra metà da guru di qualcosa a cui appartiene la bella vita che non esiste; stop, strisce, da quelle sull’asfalto a quelle lasciate dai 737 low cost che grattano il cielo. Ovunque qualcuno ci prega di attendere il nostro turno nel rispetto della privacy. Noi fuori, noi dentro, noi sopra. A vivere.
L’odore di caffè dei bar dei paesetti, dei comuni sciolti per infiltrazione mafiosa è uguale a quello del Caffè Greco di Roma. È banalmente uno degli obiettivi della giornata. Non c’è bisogno ma stressa la terza del cambio quando ancora il sole è un’idea. Pensa che ieri scivolava su labbra, come su un live dei Queen, quasi senza accorgerti del tempo mentre lui stressava la terza di reggiseno. Pensa che la vita non rende quel che deve ma almeno avete lasciato il segno sul lenzuolo, sul bacino, un documentario in una videocassetta mentale andato in onda tra te e lei, tra te e le sei, una segreteria telefonica sempre accesa.
Lei aspetta il ritardo del treno, pazientemente quello del ciclo, i suoi progetti seri, che smetta di bere quando c’è da dire cose importanti, un messaggio in pausa pranzo, lei aspetta che qualcuno le metta un po’ del suo tempo in mano e una risposta così sincera che possono aver senso anche le soap di Canale 5. Quella sincerità che ti prendi a pugni sul petto cercando il cuore, cerchi gli antidolorifici e smetti di giocare col niente, che di tutte le dimensioni e le onde gravitazionali scegli la sua.
Lui beve ancora il whiskey con i bicchieri disegnati della Nutella, raramente guarda la dignità in faccia perché ha paura che poi lei lo guardi in faccia, vuole vivere ma è un perito dai tempi dell’agrario. Quante cose stupide da dire ha riciclato, per fare colpo sulle donne più ingenue si è messo in fila. Quelle ingenti l’hanno schivato con lo sguardo immaginando tutto quello che non avrebbe potuto fare per loro. Il nodo della cravatta si stringe, toglie un capello sulla giacca.
Questa è la miseria della nostra generazione: dover essere, al limite apparire. In ogni caso per farlo fregare qualcuno. Per stare meglio, per tornare nella fila e non morire di esilio. Fare cose sul cellulare che non puoi nella vita reale senza provare. Lei le chiede una postilla più lunga, un pezzo d’aria rubata a Brescia messa nei tuoi polmoni e riversata sul ballatoio delle sue labbra, lei vorrebbe che smetteste di vedervi di nascosto a voi stessi, prendere piccole decisioni ma insieme. Smettere di aver paura di cadere con la certezza di farlo ancora e sempre. Vedere qualcuno ascoltare il pianto del tuo cuore, conta questo, al netto. Non lo sconto del canone Rai.
Sai che c’è, pensa lei, adesso lo chiamo e gli dico che questo è un punto di non ritorno, ed è previsto che rimanga o il punto oppure il ritorno. Ma poi, il pensiero è più veloce di una chiamata qualsiasi. Non ha mai incontrato un uomo da riporto, e sa com’è: quando senti che c’è un punto di non ritorno l’hai già superato.Formalmente siamo in democrazia pure lì a casa non c’è un Re, è saltato anche quello della chitarra, sogna di svegliarsi in fretta, tornare giovane per mettere tutto l’impossibile nel plausibile. La verità in un colpo e non schiaffeggiata, le gonne corte da subito, i cellulari che si possono spegnere senza perdere amicizie.
Sai che c’è, pensa lui, adesso la ammazzo un attimo prima di dirle che volevo farla vivere davvero. Poi si sente un verme per averlo pensato, ma è solo un pensiero, diventa qualcosa solo quando esce. Un pensiero col doppio fondo, una metafora in un banale giro di Re. Come sempre. Come alla fine, quando è troppo tardi e diventa tutto chiaro. Odia tutti gli specchi ma solo per qualche minuto, stringe la cravatta e si prepara a un altro sorriso lento e cuore veloce.