In pena guardi la penna, una fotografia con la data sul retro poggiata sul tavolino. Poi dei fogli, questi li butto senza rileggerli, pensi. È questa la gravità? Com’è grande la nostra costellazione e tu sei in un interregionale in ritardo con i finestrini sporchi che non si vede un paesaggio, in viaggio verso il ricordo e le sue relative paure. Tu scegli i pensieri, qualcuno sceglie per te le parole. Qualcuno ti procura la gastrite, qualcuno ti prescrive il lansoprazolo. Qui trema qualcosa, ai venti di nessuno, proprio come sei nata, ai venti di tutti, che non potevi stringere, stregare. A quei venti che ti hanno gonfiato la gonna e rovinato la piega ai capelli, stai.
Venti forti, ferma a fare la conta di quello che è rimasto tu. Siamo piccoli, nella migliore delle ipotesi tratteniamo soltanto noi stessi, si vede che lo credi da come guardi l’orizzonte. Non credi più ai confini, nessuno sconfina più del dovuto adesso che tutto è di tutti. Mezzo giro di viso verso qualcuno diventa spalle per qualcun altro, il movimento genera correnti imprevedibili per qualsiasi stazione metereologica. Venti forti per viaggi, da fare in partenza o per un arrivo, le dita che sfiorano qualcuno di importante e la schiena dritta pronta a ogni peso.
Venti forti portano cose di altri ad altri, che magari non le vedono, destinazioni e battaglie di sogni già perse ma da combattere, giochi da bambini ai grandi, contratti di felicità a progetto. Finestrini bloccati: ai venti dell’anima non interessa, com’è grande la nostra costellazione e tu sei in un interregionale che è in anticipo sulla mia vita come io sono sempre stato in ritardo su di te.
È questa la gravità?
Venti forti, siamo quasi a 30. Quindi tieniti a me che mi tengo al caso che si tiene alla vita che non sta mai ferma che si tiene al vento del tempo. Quindi tieniti a me, dicevo, e almeno voliamo insieme.
Ma prima scendi da quel treno.