Alzo il volume dal volante grazie a una freccia stampata nel buio e puntata verso nord, sfreccio verso il nord, solita autostrada. Per tornare a casa. Casa l’ho lasciata perché non la sopportavo più. La canzone in onda non impiega molto a fami sentire solo e questo mi commuove, mi apre e mi maltratta. Vorrei una persona al posto della canzone, non una qualsiasi tra quelle vorrebbe me. Con tutto il coraggio di sussurrare le mie fragilità, così come sono, senza finzioni da improvvisare. Con tutte le sincerità del caso che sono io. Le luci arancioni del quadro si sfocano mentre sfreccio contro una notte che se ne frega. Sono solo due lacrime trattenute.
Casa è una, quasi lo direi a voce alta, ma mi imbarazza parlare da solo. Casa. Ci torniamo sempre, dopo corti o lunghi giri, e per qualche ragione a volte fa male. Più male che non averla. Tornando a volte ci si sente come quando si torna dalle vacanze alla vita di tutti i giorni. Non c’è bisogno che ti spieghi. Tu come lo chiami? Lo chiami oppure stringi le spalle? Le situazioni ideali non ci ospitano a lungo. E quindi sì, che torni, fa male come la vita. Le spallucce alla vita non le fai. È come casa, è una sola.
La solitudine di ciò che è unico sta in una foto incorniciata in soggiorno e non importa quanti caselli autostradali fanno da ostacolo, o persone, o ferite. Troviamo sempre il modo per fregarli. Perché amiamo e amare è accettare tutto quello che comporta. Distruggere e ricostruire. Una stanchezza impossibile da definire e un’incontro che non finisce mai davvero. La solitudine non c’è. Ma sì che c’è. La solitudine siamo noi. Da soli, in due, in tre, in quattro, in cinque, in sette miliardi. Dalla stanchezza fuggiamo, alla stanchezza torniamo.
Spengo la radio. 140, 160, 180 chilometri all’ora, non c’è un modo più veloce, qui, per tornare alla cura che arriverà dopo il primo sguardo severo. Con la benedizione di tutti i Tutor dell’A1.
Questa è una storia vera tratta da una storia complicatamente vera. Una storia una, come la vita, come casa. Certo tu non sai cosa comporto io domani, io non so cosa comporterai tu. Ci muoviamo disinvolti su una ragionevole fiducia, costruiamo tanto per essere una casa sempre più bella caricando la ragionevole fiducia di ogni cosa. Con un impercettibile dubbio che questa non regga, un bel giorno non regga più. Succede solo alle storie vere.
Ciao, sono tornato. E non so cosa dire. Scappare per respirare e pentirsi, e commuoversi a distanza in corse folli, e più lontano andare è più sentirsi a casa. Apro la porta, tu sei in cucina. Sfreccio verso nord, sfreccio verso la mia unica casa. Ho un cuore molle, lo so, la luce si sfoca e il tuo viso diventa confuso. Sono solo due lacrime trattenute. Amare è accettare quel che comporta. Comporta te.
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2 risposte
E poi, alla fine, è proprio così. Se si ama veramente, senza riserve, si accetta con l’altro con il cuore, con la mente, fino a divenire una parte di te: la tua casa.
È questa la magia. Non è una casa, non è altrove: è la TUA casa ed è sempre in un posto chiamato QUI.