Buongiorno amico mio che leggi. Siamo ancora qui a girare come dischi graffiati da una puntina piccola e micidiale. Tra un’ombra e uno sguardo che guarda già domani la musica ci porta via. Neppure oggi è un’esordio, chissà dove è finito il tappo di quel Dom Pérignon sporco di sabbia, la riga perfetta dei pantaloni nelle foto che stanno in una foto nel soggiorno dei tuoi, la confusione degli amici delle notti occupate, il bacio sulla guancia della tua migliore amica che non ti ha mai amato. Nuova vita, giri per farci graffiare e ascoltare, nemmeno un passo indietro. Che so, tornare ad avantieri. Solo oggi tra le dita. Puoi misurarlo, dividerlo o se vuoi dimenticartene gentilmente. Che tanto è scivoloso di suo. Lo sai, stringersi ai giorni a poco serve e contare le cose belle che come palloncini abbiamo lasciato andare non ci avvicinerà a un cielo già pieno di desideri e satelliti di ricchi. Si accumula tutto, giorno dopo giorno. E arriva, ci finisce addosso, non ti accorgi subito, come quasi per tutte le cose più importanti. Premi il bottone del telecomando con in mente le spiagge della California, vento di oceano e colori pazzeschi. Bikini stretti come le tue notti prima del lavoro. Ogni cosa rimane accumulata però, i pensieri, il peso, la verità difesa, la bugia nascosta, la sicurezza arrivata dopo gli esami, la profonda rabbia per l’ingiustizia, la certezza di essere più piccoli di quel che può accadere, la certezza che molto andrà sprecato. Siamo sempre più piccoli, più compressi, pronti a schizzare, non in noi stessi verso nessuno. Ridiamo insieme, siamo gli ultimi, di una fila che si allungherà. Siamo gli ultimi dei liberi tra quelli che sanno cosa sia la libertà dei nostri passati decenni.
Non abbiamo girato per niente, dovevamo provare, dovevamo capire, spaventarci, salvarci l’un l’altro. Sempre con una puntina da giradischi scomoda in mezzo a sogni immaturi e preghiere ottimiste.
E anche io tesoro mio, amica mia, non sono più come mi hai conosciuto. Sono peggio e meglio, un infermiere che non si cura e va sempre oltre, alla prossima gioia. Stiamo condividendo strade incerte bucate da bombe e folate da vento oceanico senza però la location, colpi invisibili dentro che macchiano i cuori di lividi. Una volta prendi, una volta dai. Mentre guidi è difficile credere al buon senso dell’umanità, poi appena arrivi davanti al telegiornale diventa una certezza. Difficile credere all’involontarietà delle nostre difese, ai regali disinteressati, a chi ti lascia fare ciò che vuoi, a chi promette. Siamo più armati di prima. Più consumati dopo mille giri, quindi senza paura per un solco in più. Difficile percepire le vere grandezze, costruite e ricostruite nell’anima, mentre si condivideva la stessa vita. Che saranno sempre diverse. Invasi, distratti dalla colonna sonora di un film che è entrato nei nostri spazi da ogni bacio non dato e da ogni spazio lasciato, la mondovisione dell’inutile. Non sappiamo che dire. L’hanno già detto gli altri. Ma noi siamo speciali, ancora.
Cosa dovrei essere? Ora, quanto dovrebbe rimanere di quello che hai cercato, chiamato, abbracciato? Non siamo statue né boomerang e non torniamo sempre, tu lo sai. A volte mai più. Con pianti e muscoli tesi, parolacce pensate, un petto stretto che chi te lo spiega, chilometri di pensiero guadagnati, muri di silenzi e di Berlino. Perché non sappiamo fare la strada indietro, non possiamo o non ci arrendiamo a quel che per voi deve essere. Oggi. Non puoi darci per spacciati per il peso sulle spalle, per il tempo che corre spietato, non ci ha corrotto la mondovisione che ipnotizza con i selfie su instagram. Il tuo pensiero più grande dove va a finire? In ciò che sei o in quello che gli altri si aspettano da te?
Ecco uno dei miei è qui, nel silenzio. Siamo speciali, ancora. Non lo spiego a te, che lo sai, né a nessuno, Non sono caduto, sono ancora in piedi, colpevole e fragile. Non ho girato per niente, dovevo imparare come si sbaglia tutto e ora infatti ci riesco molto meglio. Sto salvando la parte più graffiata di me che sta sotto il livello del tuo sguardo vigile, meno scintille nell’oscurità e più mainstream nella giornata. Cosa devi aspettarti? Niente. Voglio essere ancora molte cose, imprevedibili, scomode, strane, originali, impopolari, incomprese. Se ti interessa uno sconto devi andare altrove.
Ma una risposta al telefono sempre, una soluzione da trovare sempre, prima tu sempre io meno. Il battito del mio cuore 4/4 c’è sempre per chi ne ha bisogno. Io sono io e sono venuto a cambiare disco. Unendo tutte le briciole e le porte in faccia. Unendo le spalle girate di chi sempre si volta e unendo tutte le mancanze di tempo di chi le grida in piazza, come fossero perline, mi son fatto un bracciale. Adesso è arrivato il momento di chi mi vuole bene o semplicemente mi vuole. Il vorrei scenico resta negli occhi spenti di chi non sa come si guarda, davvero. È come dev’essere, un rock calmo, più spazio tra i corpi, pensieri lunghi, l’emozione placida, quel che vorresti che non finisse mai, una goccia di pianto pop e via.
Il disco gira, graffia anche gli uomini e le donne speciali. I loro cuori. Sono graffi speciali.