C’è troppa luce, delle volte. Le giornate diventano troppo lunghe per non iniziare a guardarsi attorno fino a farlo dentro. Sfuggire, sfuggirsi. Scomodo il tuo posto, lo cederesti al mio mal di schiena che si deve alzare alla prossima fermata. Scomoda questa piccola fermata del bus piantata per terra perché lontana dalla mia destinazione. La comodità sta giusto un po’. Sfrecciano i tassì bianchi pieni di luce riflessa, il mio braccio non si alza per chiamare una corsa troppo cara. Guarda lo sai, come è per i sogni. Aspetti. Devi faticare anche solo per tornare in quel posto che hai pagato per restare. Luce addosso, colpe senza ombra di dubbio e lacrime controluce. Non c’è un metodo per asciugarle in anticipo.
Giro del sole, dell’ultima rotonda, giro offerto dalla casa. Pensieri maledetti, non li ferma nessun moto esterno. Sembra tutto chiaro, il posto sbagliato, il tempo sprecato, la vita urlata e quella addomesticata. Sembra trasparente il senso, un poco preso e un poco lasciato chissà dove e a chi. Ma sì che a volte basta solo un giro in più, il tanto di un carillon aperto, sui tasti o sulle corde. Corse sotto cieli collassati e sorrisi post traumatici da incollare come manifesti elettorali. Giro di cose successe, una. È semplice quel che è stato, ora sai quel che non vuoi e stai già pensando a quel che vorrai. Questione di pretendere ossigeno dopo tanto tempo, alla fine. Ti prendo io, mi prendi tu, per ora siamo solo nella scia del profumo. Oppure dimenticatemi tutti. Anche tu margheritina spezzata nel campo delle favole. Lasciatemi andare, il per sempre non esiste ci resta qualche decennio. In questa che era luce, come un pazzo se corro con la gola secca e non mi fermo neanche per morire. Perché quel che ho visto in questa scomoda verità non posso lasciarlo come se fosse un posto qualsiasi, non posso raccontarlo a te che mi odi e ti innamori del mio mistero incompiuto. Shh. Non fare domande legittime, regalami un biglietto o una casa soltanto per questa sera.
No? Allora correrò verso il tramonto, il tramonto di qualcosa. I tuoi racconti interessanti i miei occhi li hanno frullati e restituiti all’interessante di questa provincia. Chissà cosa è davvero mio, cosa è il fondo. Chi li ferma i pensieri, destinazioni del passato, in onda una maratona olimpica a ostacoli. Nuova specialità, settordicimila chilometri col cuore in mano ed occhi chiusi e parole trattenute da un nastro adesivo. Direzione via dalla luce, che non sono bello come credevo. E neanche tu. Troppe sigarette e orgasmi tagliati a metà. Traffico nelle vene, forse non dovrei ma mi sto allontanando da semafori, strisce e corsie. A breve anche dalle metafore.
Chi li sostiene questi sguardi, queste specie di nebulose perse nella coscienza, nelle guerre giornaliere di sopravvivenza. Inconsistenti come vanità passeggere. Chi li sostiene se non nessuno. Andare dritti non serve a nulla ma anche il controllo in curva manca da un po’. La forza di gravità prima o poi ti imbroglia, stringo gli occhi verso il traguardo. Cado. Il sangue scoppia nei tessuti interni, diventa una ragnatela e si espande fin dove lo porta la pressione.
Cado e adesso si vede il contrasto, pelle bianca e il rosso del sangue. Adesso c’è la prova, anche i tuoi occhi hanno la prova di un trauma che non posso spiegare. Nel mio futuro le tue dita sottili sfiorano i capillari rotti come un notturno di Chopin ma lui si prenderà tutto il tempo che vuole. O forse sarà una sonata di Beethoven e farà più male. Nel mio futuro sono morto e non mi piangi. E forse è abbastanza. La notte cade a picco come un sole freddo. È perfetta per nascondere la chiazza di questa rottura che resta, che cambia colore ma resta. Chissà cosa è davvero mio, tutto il contrario del superficiale. Il sangue scoppiato che resta, un bacio mai dato bagnato di lacrime, i diritti d’autore sulle poesie strappate.
C’è troppa luce anche in questo buio. Forse vorresti dirmi qualcosa, il silenzio non mi imbroglia più. Ematomamore mio.
Una risposta
Silenzi profondi.