Fin a dove si può [3 non storie]

Stasera ti porto fuori, facciamo un viaggio magari. Dove vorresti andare? Un posto a sorpresa? L’incerto, ovviamente. Verso il consueto incerto di ogni giorno a cui tanto siamo affezionati. Prenoto una camera con vista, una vista sull’andrà tutto bene. Per evitare stravolgimenti. La poca convinzione diventerà una lunga e noiosa distrazione da quel che eravamo. E poi fuori, da un’altra parte, sembra tutto magico. Persino le cose che abbiamo anche qua. Stasera ti porto dove me lo posso permettere, fin a dove si può. E sarà quel che sarà. Naturalmente. Assomiglia a un ritornello. Non è forse questo il passato?

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Un pugno e mi dimentichi. Un pugno e ti dimentico. Tra il sorgere del sole e il tramonto ci hanno colpito più pugni e dimenticanze che qualsiasi altra cosa da. Amico mio, come stiamo vivendo? Il bulbo oculare rotea fin a dove si può. Ti vedo svuotare il fondo agitato della doppio malto e girare del tabacco di ultima scelta. Allungare la mano per cercare i tuoi amici online. I nostri lividi e i nostri vuoti sono collaudati, stampati addosso, precisi e nitidi come scontrini appena usciti dal registratore di cassa da cui uscirà anche il resto. Nessuno ne parla. Ufficialmente nessuno ne sa niente, mi segui? Devi uscire con il conto pagato, allora puoi andare. Non è narrazione, non c’è un sottofondo soft, la risata del pubblico. Ti accolli questi lividi trasparenti, lasci un “mi piace”, scappi a casa. Questa è la nostra prima e unica serata che si ripete. Ufficialmente siamo tutti nella stessa barca, solo che qualcuno ha la propria, o il suo yacht. Un po’ ormeggiati e un po’ alla deriva, dimenticanze di qualcuno. Forse alla fine qualcuno si accorgerà, troverà la soluzione anche per noi. Lo voteremo, ce ne prenderemo gioco e poi ce lo dimenticheremo. Ma ora palpitiamo nel non detto. Morte e vita stanno tra amare e disperdere nell’ambiente.

Schiodati da quella sedia e vai a impararlo. Buttati e nuota nell’irrisolto. Ma prima dammi un altro pugno. Fammi male. Questa sarà l’ultima sera in cui saremo la stessa persona.

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“Sei in ritardo”.

Era sempre in ritardo quel ragazzo, mai una volta che sapesse come giustificarsi. Ma anche oggi, puntualmente, lo attendeva uno sguardo paziente.

“Oggi facciamo il gioco delle carte”, disse lei.

“Quale gioco? Quale dei tanti giochi di carte?”.

“Tu mi racconti un bugia e io ti risponderò con la verità che quella bugia nasconde. Se uscirà una carta alta mi dirai una bugia, o potrai distorcere la verità, riguardo a una cosa che ritieni importante. Una verità molto profonda. Se esce una carta bassa potrai raccontarmi qualunque cosa tu voglia e io ti risponderò con il futuro che riguarda quella determinata cosa, ma un futuro particolarmente circoscritto. Diciamo, quello che davvero non puoi cambiare”.

“Ma dovremmo fare i compiti, come dice la mamma”. Come dice la mamma. Quante delle cose che fai te le ha dette la mamma?

“Va bene ma solo perché è venerdì e abbiamo più tempo”.

Pescò la carta dal mazzo. Provocatoriamente pronunciò la sua bugia.

“Io sono io”.

Lei spostò lo sguardo su una delle ragnatele rimaste, le avrebbe dovute togliere. Era pagata per questo non per nuotare controcorrente nella mediocrità di una famiglia mezzo borghese come quella sperando di salvare qualcuno. Che poi, i borghesi neanche esistono più. Ora sono tutte uguali le classi sociali occidentali, fotocopie vestite con pantaloni e gonne ed in tasca carte di pagamento con plafond diversi. Però in effetti, a parte questo, la democrazia andata a puttane e il capitalismo tra capo e collo, questo ragazzetto aveva sparato bene il suo colpo.

Allarga il cono visivo e fa un corso di respirazione accelerato. Un po’ di cenere sulle ginocchia. Ci cerchiamo dalle nostre prigioni, vogliamo parlarci attraverso i muri che abbiamo costruito. Vogliamo crescere, farci pagare, sembrare senza essere gli ultimi della fila. Ma poi, alla fine chi ha scoperto sé stesso, chi è rimato sé stesso? Chi non si è chinato a raccogliersi per cercare di essere? Batticuore saltuario. È troppo tardi per la pace in un pianeta in cui i singoli soldati non amano sé abbastanza, pensa. Mille cambiamenti, mille spargimenti. Dentro. Noi siamo noi ma non l’abbiamo ancora capito.

Lo guardò dritto negli occhi. Aveva promesso, aveva iniziato questo stupido gioco.

“La tua verità è che non lo sarai mai quello che vuoi perché smetterai di volere prima. Quello che immagini non esiste anche se ti viene comprato. Bastano tre accordi ma devono essere quelli giusti. La verità è che l’hai capito”. 

Spense la sigaretta, gli prese la testa tra le braccia. Senza farsi sentire, sospirando, sospirò ancora un “impazzirai come me“.

Cosa ne pensi?

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Fabio Pinna

Autore e poeta. I miei libri sono scappati! Viaggiano verso librerie o sono sulle mensole dei lettori.
Adesso sono di chi li vuole. Come queste brevi storie e i flussi di pensiero da leggere in cinque minuti.

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