Fermo all’ennesimo semaforo. La pausa impone l’ascolto del borbottio delle marmitte e dei rumori provenienti dalle altre auto compreso musiche, discorsi e silenzi difesi. Qualcuno stacca le mani dal volante bollente per far cambiare posizione alla schiena, qualcuno spinge con forza le dita in avanti in un discorso evidentemente impegnativo per un così piccolo spazio. Altri sospendono lo sguardo oltre il finestrino, come per evadere, immaginano una nuova destinazione visibile da una strada percorsa migliaia di volte. Non abbiamo molto tempo per cercare ma pretendiamo di trovare, a volte si rende necessario. Per sopravvivere di residui di emozioni povere. Se da qui facessi un chilometro a piedi forse sarei in un altro mondo.
C’è chi ride, col cuore e chi guarda e non sa partecipare. Chi trattiene, chi si stringe nelle sue fitte. Il movimento del tergicristallo agevolerà il percorso ma non chiarificherà il futuro. Telefonata. Quello che chiude per primo è quello altrove. Spesso non c’è niente che si possa recuperare dopo il detto ma, ad ogni modo, ci sarebbe molto altro da dire.
Qualche secondo per il conto alla rovescia al verde, sguardi persi si voltano tra le vetture cercando con curiosità l’oggetto di invidia: la felicità. Se solo le gambe potessero toccarsi tra conducente e passeggero. La sera è trafitta da raggi di sole impossibile da evitare come i tasti bianchi di un pianoforte. Il vento porta aria rovente e smog e note di tasti neri di un pianoforte. Stiamo tutti tornando controsole, con i cassetti dell’anima piena di stanchezze e cose varie e vogliamo dormire presso felicità che non abbiamo.
Il Suv splendido, dentro e fuori, abbaglia il mio vetro, dietro al suo invece una donna si aggiusta i capelli in un silenzio protetto. Un viso prezioso e annoiato, vorrebbe essere lei al posto di guida e arrivare fin dove arriva il pieno che il marito ha fatto per raggiungere la casa al mare che la taglia fuori da ogni sentimento. Si sente un poco Lady Diana.
Alla fila si accosta un motorino, un prodigio dell’arrangiamento. Cade a pezzi ma mica cade. Sfreccia. Si confonde nella nuvola che esce dalla marmitta, i due ragazzi non sanno cosa sia il casco. Pianificano a voce alta la successiva fase ludica della giornata, tra fumo di miscela e l’aria tesa degli ascoltatori della fila spazientita.
Chi partirà per primo? Chi arriverà primo alla prossima fermata? Chi la salterà? Non sottovaluto il quesito. Per qualcuno sarà una leggera felicità. Il primato, il senso di essere qui, dalla parte giusta del catrame, in mezzo a degli spettatori in un ambiente confortevole per la propria riconferma. È stupido pensare che le cose stupide non siano capaci di darci qualcosa. Economiche, sono cose a basso costo e di breve durata. Ma siamo soli e vale tutto.
Una ragazzina si specchia con la fotocamera del cellulare, ed è in pena per qualcosa che gli è stato detto che non può fare. Sono felice di non doverle spiegare che purtroppo resterà così. Quella pena non si leverà mai, siamo nati per fare qualunque cosa compreso quelle che qualcuno non vorrebbe.
File parallele, auto di lato, manovre azzardate, spazi contesi. Sto facendo un riassunto delle cose che brillano e uno delle oscurità che le ospitano. Non sono ancora pronto per ripartire. Sento i clacson dietro di me. C’è ancora spazio per un’anima fragile?
È stupendo il mondo, non quello che indossi la mattina, non quello che gira in ritardo, quello devi elemosinare. È sempre presente la felicità degli altri, mai un giorno d’assenza. Ma che bello. Ammessa al prossimo anno. Perché sia io a fare l’appello non so. Faccio un selfie per farne parte.
Siamo tutti ammassati, disordinati, classificati, emarginati, in piccole corsie come queste e non ci accorgiamo nemmeno se questa felicità esista. Se sia in una forma che si possa trattenere o sia trascurabile in piccole cose che non ci apparterranno mai.
Facciamo parte di promesse imprevedibili, di un cambio di stagione epocale, facciamo sorrisi che scadranno. Dio, se lo faranno. Puntiamo tutto, e un po’ meno di tutto, senza che per noi la felicità diventi abbastanza. Facciamo sogni scherzando, come puntate, che ci prenderanno tutto ciò che siamo. Perché la felicità è una necessità. C’è chi ride alla novità, col cuore e chi guarda e non sa mai partecipare. Chi trattiene, chi vuol andare avanti, passare per primo e si stringe nelle sue fitte.
Siamo ripartiti senza sapere a che punto del viaggio siamo. Questo non è un viaggio normale.
Io scrivo e tu leggi, io segno e tu sogni, io lascio andare le parole insieme alle emozioni e tu le trattieni.
Come file parallele, messe di lato, spostate con manovre azzardate in spazi contesi. Non sono ancora pronto per ripartire e farti riposare gli occhi. Ma devo. Mi hanno detto “fai quello che sai fare”. Mi avvicino, sprofondo e mi avvicino contemporaneamente, alla tua felicità. Se esiste. C’è molto spazio tra, molto vento che deve, molto tempo per. C’è ancora spazio per un’anima fragile?
E che ne so, io. Ma siamo soli e vale tutto.
Mi darai un passaggio con le tue ali, sfioreremo vecchi paesaggi, rideremo dei metri che parevano chilometri fermando stelle che abbiamo sempre potuto.