Alle prese con il tacco dodici tra le mattonelle, alle prese con l’emancipazione, con la verdura fresca da disinfettare per sopravvivere e da mangiare per dimagrire, alle prese con il capoufficio sessista, con le continue troppe richieste, di ogni cosa, pure di amicizia. Alle prese con le formule 3×2 e 1×2 dei supermercati, alle prese con le battute che nessuno capisce, alle prese con quell’insensibilità che ti sei meritata e un po’ no, con disattenzioni seriali che contano. Alle prese con il ritardo di Dio e della cottura del pranzo. Alle prese con le mezze scelte e il pensiero delle loro conseguenze e ancora con la mia brutta faccia, presumibilmente prima scelta e poi sopportata.
Alle prese con la sorte. Aspetti che si pronunci, si sbilanci, si manifesti nella parte giusta del decennio che stiamo occupando, del palazzo, del letto. Una paginetta di cose da dire che vorresti sentirti dire e che invece, da qualche parte, saprai soltanto immaginare e scrivere. Qualche raccomandata, qualche reclamo inutile senza ricevuta di ritorno. Una rassicurante tessera socio, una carta di credito, sentiti qualcuno con un numero tutto tuo stampato in rilevo, con un mutuo, con la foto di nostro figlio di tre anni nel portafoglio, la sua prima medaglia del pallavolo in vetrina. Con lo stendino che imbarca, le pile del telecomando da sostituire. Rassicurante perché in ogni caso in qualche posto si deve tornare. Alle prese con il testo di una canzone inglese di cui hai capito il tanto che basta per fartela piacere.
Alle prese anche con i nodi della mia cravatta che puoi allentare in pausa pranzo e nelle sere stanche che diventano la scusa per accorciare distanze tra visi facilmente percorribili, alle prese con le mie udienze a porte chiuse con verdetti già emessi dall’amore e dall’impazienza. Alle prese con il lusso del poco tempo da perdere, e con un mouse degli anni 90, quello con il filo che a seguirlo si arriva su una spiaggia fantastica in pieno inverno, e pazienza se è piatta e sta sullo schermo.
Alle prese con l’acqua calda che tarda ad uscire dai tubi la mattina presto come tarda il conforto dalle nostre mani quando servirebbe. Alle prese con il tailleur Luisa Spagnoli che ti eri comprata con i risparmi e non entra più bene, alle prese con persone acquisite con la stessa strategia dei territori di Risiko!, alle prese con il reflusso doloso da guai altrui.
Siamo le copie di noi stessi, di anni fa, che discordano in qualcosa. Quindi siamo alle prese con quello che non siamo più, anche. Alle prese con tagli così profondi che in fondo, dall’altra parte, si vede già uno spiraglio di luce. Alle prese con cicatrici sbiadite. Sei il blu del vento, quello che ho immaginato. Sono il colore nero dei punti fermi su cui cammini, quelli che hai immaginato. Siamo alle prese con il “riempi e colora” per grandi, il senso di fare a modo nostro con alibi già pronti e inventare e sperare anche tutto quello che non si può.
Alle prese con la sorte andiamo a fare il gioco dell’impiccato fuori dalla carta, soltanto guardandoci, diamo consapevolmente risposte sbagliate per morire prima. Senza confessare di aver convissuto col cappio fino a un momento fa, quasi felicemente, per amore e stupidità.
Giochiamo per vedere la sorte da che parte sta. Se sta.