L’amore ai tempi della varicella

Scrivo col corsivo se è tutto normale, scrivo ricorsivo di te se è tutto speciale, vediamo di farcela.

Io ti ero uno schizzo per turisti tu mi eri un Monet originale io ti ero sotto le varie tu mi eri sotto gli eventuali, io ero la tua versione ufficiale tu mi eri la versione integrale, io ti ero carattere tipografico stampato senza sbavature tu mi eri carattere scritto a mano dal medico, io ti ero biglietto in prima fila tu mi eri l’ultimo gettone quando ancora occupavamo le cabine agli orari più impossibili. O forse era il contrario. Il presente si mangia i ricordi per avere la forza di diventare futuro.

Se uno conosciuto da tutti come il sole può decidere di non uscire allora posso farlo anche io, ad impatto zero, nell’immobilità di un discorso da pesci rossi, difficile che qualcuno se ne accorga. Se possono smettere di rispondere i quadri a chi non li conosce posso smettere io, appeso, incompiuto, in questa stanza frequentata da poche persone. Voltarmi, farmi ingoiare dal silenzio del tempo che non mi hai concesso.

Scrivo col passato spuntato, ogni due frasi un “posso”, la velocità del futuro che ci frega sotto il naso e le insegne che offrono kebab e tempo risparmiato in cucina per fare l’amore. Un paesetto, un materasso scomodo ma per due, spegni la luce, io scrivo. Il fumo della tua ultima sigaretta non si smuove dal balcone. Siamo in Emilia, si muovono solo le cose vive, se lo sono abbastanza. Invece noi siamo copie di copie di mille copie che non si sono mai conosciute ma si possono già immaginare, come l’asfalto sopra i fiori di campo, come una stella che brucia a ferragosto milioni di miglia sopra i moscerini che ci importunano, immaginare come il verso di quando pieghi indietro il collo e si chiudono le tapparelle degli occhi.

Scrivo ricorsivo come si scrive il codice di certi piccoli programmi che devono fare per tutta la loro durata sempre la stessa cosa. Come gli impianti di irrigazione o di allarme. Scrivo, scatta il suono, piango a goccia e so che lo farò per tutta la durata della mia vita. Nello scrivere non sono un talento ma mi sono programmato bene. So ripetermi, anche a mia insaputa.

Mi avvicino, mi dedichi un sospiro, ti giri e sogni, è il sesto telegiornale di SkyTg 24 consecutivo. Il mondo è pesante, la notte è leggera, tu galleggi io affondo. Aspettare per sempre, la versione definitiva di sé stessi e il gesto che racchiude ciò che si è in un posto diverso, altrove, sempre qui, ma al futuro. Il gesto di chi. Sconnesso, aspetto risposte da una finestra aperta. Le zanzare, accettabile punizione ogni volta che alzo il volto sui tuoi lineamenti, casuali e magici, quasi notte. Tu sai ripetere il verbo “splendere”, notte e giorno. E arriva, ma solo quando arriva, quando la notte non è più tenace.

Non conosco strade, quella che conoscevo l’ho lasciata, dimmi tu, quando ti svegli. Se posso ancora decidere di non staccarmi da questo niente che mi son costruito per far volume e ingannare le nostre diversità. Un gessetto colorato. Lascio un messaggio sulla lavagna in cucina, ho scritto solo io lì, da quando l’hai appesa. Vale un tuo abbraccio in grembiule e vale minuti e ore a pensare a come riassumere quel muscolo a sinistra. Dico sempre io, dimmi tu. Sei qua, se allungo la mano sento come il respiro ti solleva e ti abbassa il seno. Tu galleggi e io provo le penne a sfera sotto metri di pensieri che vanno a fondo. L’amore, non dirmi niente. Non c’è definizione dell’amore che sia leggibile a voce alta dagli occhi, miei e tuoi, non sfocati dal luogo comune ed invece nitidi. Così nitidi da essere chiusi. Perdutamente per fiducia.

Siamo qui con l’amore, cosa farsene per bene lo scopriremo, dopo la varicella. Che bisogna fermarsi prima che diventi contagiosa, che un po’ di isolamento non ce lo leva nessuno. Ci vediamo domani e per sempre. Siamo già troppo vicini, te lo sei mai chiesto, se sfiorarsi soltanto è l’isolamento che ci renderà meno brutti? E quel tempo recuperato dove lo abbiamo messo, se solo i venditori di kebab hanno fatto affari oppure anche noi. Ci vediamo domani e ci sentiamo nell’anima tra due settimane. Con la memoria fotovoltaica ti ricorderai sicuramente di noi in una giornata di quel sole che ha deciso di uscire dato che sente anche lui il peso della notorietà. Un fine settimana perfetto.

Dormiveglia, stanze separate da niente di visibile, ti ho dedicato tutto quello che sono e quello che non so di essere, intermittenze, la rabbia dei quadri davanti agli studenti impreparati, l’esigenza di scappare ogni volta dal nulla solo per dare importanza al gesto, a me. Allarmi che suonano per niente, allarmi che suonano per nessuno, impianti di irrigazione difettosi che allagano le stanze navigabili a vista. Coraggio afferra questa mano e buca quella scialuppa.

Un sospiro ricorsivo chissà fino a quando, e poi la forza di cambiare tutto, e ogni singolo quadro appeso e le foto in soggiorno, le garanzie dei regali che ci siamo fatti, i bonifici da fare, allungare la mano, ricordare l’amore illeggibile. L’amore ai tempi della varicella, per non contagiarci possiamo esserci pensiero. Il prezzo è il rischio di ciò che siamo, il fondo è li, e dell’amore non dirmi niente. L’isolamento. Un gessetto colorato, una frase solo per te, siamo già troppo vicini. Ci vediamo domani e per sempre.

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Fabio Pinna

Autore e poeta. I miei libri sono scappati! Viaggiano verso librerie o sono sulle mensole dei lettori.
Adesso sono di chi li vuole. Come queste brevi storie e i flussi di pensiero da leggere in cinque minuti.

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