Il mondo è in ricarica sul comodino e ci sei anche tu lì dentro. Ancora una giornata giusta per schifare moderatamente il risveglio al solo pensiero di ciò che succederà di nuovo con le finestre, le porte, gli spifferi, le gallerie e i comignoli del cuore. Resteranno tappati. Ma raccogli le forze, piegandoti, come quando rastrelli i vestiti dall’oblò della lavatrice. Entri nella hall of fame della tua quotidianità. Qualcosa la becchi, di quei pensieri che ti danno forza, la trattieni. Pensi. Ed è già l’inizio di un coraggio. Sbatti il mignolo contro il comodino, raccogli paure e smuovi montagne. Sei tu, sai che puoi.
Guardando il fiume di ovvietà che scorre oltre i tuoi sbarramenti chiuderai gli occhi dal cielo ai piedi trattenendo un respiro tiepido e annoiato per tutta la giornata. La speranza resta sempre quella di lasciarlo, di perderlo alla prima occasione e per una bella ragione. Un complimento che ti conosce, una soddisfazione inaspettata, un incentivo aziendale, una sincerità che non ti aspettavi più, un parcheggio al primo colpo, l’eliminazione dell’iva sugli assorbenti, l’incredibile sorriso di qualcuno che ci ricorda che siamo umani, non solo esseri. In attesa di questo, o forse non veramente, riempi la scrivania accanto alla mia. Borsa, ombrello, soprabito, cartella in pelle con i progetti. Le scartoffie sono già archiviate sul Mac, camicia bianca di scorta, una busta con qualcos’altro dentro che non è sicuramente il pranzo. Tu, cioè lei, ci diamo del lei. Non è il tipo di persona che spreca tempo in pranzi solitari e, comunque, non si porterebbe il Tupperware da casa come faccio io.
Il suo è un saluto asettico. Compie qualche giro di ricognizione tra le scrivanie, la stampante e il distributore di bevande calde. Pochi metri per riprendere il contatto con l’ambiente, per tornare indietro da una libertà dispersiva e fissare i suoi punti fermi giornalieri. Uno squalo non letale che disegna tagli nell’aria. Pallido. Inespressivo. Non gli staresti in scia e non attraverseresti le sue traiettorie. Ancora due giorni e arriverà un altro fine settimana. Se hai seguito il programma è un bene, se sei in ritardo non lo è e recupererai. Il programma c’è per stare a galla, deve essere rispettato. Non puoi metterti contro un programma, tu, gocciolina del mare che fluisci spostato dalla pelle degli squali del mare grosso.
Respira qui per conto suo, aria sua ma pure nostra. Io la mia me la porto lontano come per non disturbare, guardo il monitor, l’agenda di oggi mi ricorda che vedrò più muri che agenti atmosferici. Mi volto sulla sinistra per spegnere qualunque eventuale sopravvissuta gioia sulle veneziane double color, bianco e grigio polvere. Perché dobbiamo stare in posti che altri hanno deciso per noi? E fare come fanno gli altri, limitare i successi per limitare anche i danni? Comunque per me quell’aria è sempre nostra. Io ci vivo con quella roba lì. Briciole di profumo. Altro che scalatore sociale, scalatore di sogni. Lei prende in mano il mondo, balla il tip tap con le dita sullo schermo, distinguo almeno tre tipi diversi di suonerie per le notifiche, poi una chiamata con cui fissa un appuntamento. Voce chiara, cortese, furba. Il taglio tranquillo degli occhi suggerisce che la carica della batteria le sarà sufficiente per stare fuori nei cantieri. Libera di dimostrare, di farsi ammirare. Il tacco basso sbatte sul gradino per andare via, quel rumore femminile è così deciso come quel silenzio di chi non ha niente da chiedere. In apnea ma nel pieno controllo di ciò che è possibile controllare. Uno squalo per forza. Letale, forse, se chiedessimo a qualche cuore che finora nessuno ha interpellato.
Non è sufficiente incontrarsi, in questa vita, darsi una mano oppure sbattersi addosso. Ognuno guardando l’altro vedrà sempre qualcosa di diverso, aspetta, perde, si stampa dentro qualcosa o nell’indifferenza dimentica. La bellezza del diverso stupisce, rigiro la penna tra le dita, mi meraviglio della mia considerazione. Come un prestigiatore tiro fuori dalla mia borsa a tracolla una bombola di ossigeno per le sue giornate di dura apnea che le donerò. Una maschera e un boccaglio fosforescenti per continuare a nuotare e magari farmi notare da lei, stare a galla, tra bellezza e pericolo. Una battuta, una barzelletta. Squalo gentile, riderai. Divertita o per non farmi imbarazzare. Poi c’è un paio di occhiali da vista per vedere meglio le parole dette in piccolo. Magari qualcosa nascondono. Per finire, siccome so già quanto è affilata la bellezza del diverso, mi consegno un cuore nuovo. Perché incontrarsi, darsi una mano o sbattersi addosso è una cosa ma riconoscersi è la cosa più vicina all’impossibile che ci potrà succedere. Voilà. Signori e signore, un cuore vero vivo veloce. Lo stesso di prima ma diverso per sempre.